Monia Busco (Reckitt): “L’inclusione è libertà di avere successo”

Le politiche di d&i come terreno fertile per l’imprenditorialità dei singoli, che apportano così valore innovativo alla collettività aziendale

L’inclusione come promessa, ma anche premessa, per il successo, perché garantisce ai singoli di poter esprimere la propria identità e il proprio talento, vedendoli valorizzati. Questa la prospettiva sul tema D&I che ci ha portato Monia Busco, direttrice risorse umane di Reckitt Hygene per Italia, Grecia e Israele.

Cosa significa oggi gestire in modo inclusivo le risorse umane in una multinazionale?
Per me gestire le risorse umane in modo innovativo e inclusivo significa tante cose diverse. In primo luogo: fare scelte ispirate dai propri valori. Noi siamo una comunità globale di oltre 40mila persone con oltre 120 nazionalità: avere tanta diversità al proprio interno è una condizione necessaria ma non sufficiente, perché non significa necessariamente inclusione. Per riuscire a farlo ci serve una bussola che funga da orientamento e che è rappresentata, appunto, dai valori. Al centro di questa visione per Reckitt c’è il “do the right thing always”, il fare sempre la cosa giusta per tutti, non solo per le nostre persone. Secondariamente, c’è la conoscenza della diversità, che nel 2020 ci ha portato a fare un’analisi dei processi e un ascolto a livello globale di oltre 2mila persone per monitorare sentiment e idee rispetto al tema dell’inclusione. Un assessment che ha coinvolto anche il vertice e che ci ha portato a creare una roadmap di pilastri e obiettivi per il futuro, fatti di principi ed azioni concrete. In questo contesto si inserisce la nostra promessa del “freedom to succeed”, che significa innanzitutto lasciare la possibilità alle persone di avere un impatto secondo la propria libera identità. Io stessa, in sede di colloquio con Reckitt, ricordo che fui colpita da questo orientamento all’imprenditorialità lasciato ai singoli, a qualunque livello, e che poi ho realmente riscontrato all’interno.

Passando, dunque, alla pratica?
Per noi le azioni orientate all’inclusione devono avere un impatto positivo nel lungo termine, ovvero essere sostenibili. Si parla innanzitutto di iniziative che lavorano sul fronte del cambiamento culturale e che rientrano nell’ambito del programma “Stronger together”. Abbiamo organizzato una serie di incontri sul tema D&I invitando persone capaci di ispirare profondamente su questo tema. C’è stato ad esempio un evento sulla disabilità con Simona Atzori (pittrice e ballerina con disabilità ndr), dove abbiamo analizzato come la differenza possa essere portatrice di valore e cambiamento, ma anche di innovazione. Abbiamo incontrato anche Maurizia Cacciatori, che ci è raccontato della leadership al femminile e della capacità di fare squadra tra donne, ed ospiteremo presto Andrew Curtis Howe, detentore del record italiano sia outdoor che indoor del salto in lungo, per parlare di discriminazioni razziali. Il 17 maggio, inoltre, lanciamo la traduzione italiana del nostro glossario di parole con focus sui temi dell’lgbtq+, per dare un contributo al superamento degli stereotipi su questi argomenti. Lato genitorialità condivisa, poi, abbiamo introdotto misure che vanno oltre gli obblighi di legge, con 6 settimane in più di maternità pagate al 100% e due settimane in più per i papà, sempre retribuite al 100%, nonché 4 settimane facoltative non retribuite. Da sottolineare che tutte le donne, ovvero il 100%, di Reckitt Hygene in Italia ha usufruito di queste settimane extra e lo stesso vale per il 75% dei papà. Un dato importante, perché non basta offrire nuove possibilità, ma bisogna far sentire le persone protette e in grado di poterne godere senza pressioni e pregiudizi. Un’altra iniziativa che abbiamo attivato, poi, è l’inserimento di inclusion board locali allineati alle priorità di D&I globali, ma che guardano alle specificità dei diversi Paesi. Anche l’inclusione, insomma, richiede un approccio diversificato e inclusivo.

Ci dà qualche risultato numerico di queste azioni?
Una ricerca McKinsey ci dice che le aziende con oltre il 30% di donne ottengono risultati migliori e, lato nostro, abbiamo risultati concreti a conferma. Gli ambienti più inclusivi spingono senza dubbio creatività e innovazione, trasformandosi in vantaggio competitivo. Il 66% delle posizioni dirigenziali in Reckitt Hygiene Italia, non a caso, è ricoperto da donne, a fronte di una media italiana del 15% nel settore privato (dato Job Pricing 2019). A livello quadro la rappresentanza è del 72%, contro il 29% della media italiana. Infine, le donne sono il 60% dell’intera popolazione aziendale. Questo significa non solo che siamo attrattivi nei confronti del talento femminile, ma anche che riusciamo ad avere una prospettiva bilanciata in merito a questioni sociali di genere da restituire all’esterno. Ci stiamo aprendo, su questo fronte, anche a un confronto con le nuove generazioni, considerato che i millennial (nati tra il 1981 e il 1996) sono il 62% della popolazione aziendale.

Come si armonizzano, dunque, queste diversità?
Il concetto fondamentale non è cercare di armonizzarsi verso uno standard, ma permettere a ciascuno di esprimere il proprio potenziale e diversità. Lato generazionale, ad esempio, la diversità è vero che crea valore, ma è innegabile che millennial e baby boomer abbiamo visioni diverse. Noi creiamo team intergenerazionali e trans-funzionali proprio per tenere alta l’innovazione e la motivazione. Come risorse umane investiamo costantemente in partnership con le università italiane, che nel 2020 abbiamo coinvolto con una challange globale rivolta agli studenti per raccontare i purpose dei nostri brand in ottica innovativa. Alcuni di loro, a seguito dell’iniziativa, sono già entrati a far parte dell’azienda. Un progetto che replicheremo ed estenderemo anche quest’anno.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome