#takeaction Ristorazione – Considerazioni e sviluppi per un mondo in divenire

Un viaggio nella ristorazione veloce con KFC e il suo amministratore delegato Corrado Cagnola, uno sguardo al futuro e al rinnovamento (da Mark Up 324)

Conosco da tempo Corrado Cagnola, amministratore delegato di KFC Italia, acronimo di Kentucky Fried Chicken, la catena di pollo fritto più famosa al mondo. Brillante e disponibile, Cagnola è laureato in ingegneria, manager d’esperienza, lui stesso definisce la sua carriera “bipolare”: ha lavorato per Autostrade e per Blockbuster, per ATM e per McDonald’s e, infine, nel 2013, è approdato da KFC. Con lui guardiamo alla nuova stella del panorama food: la ristorazione commerciale.

Qual è il tuo punto di vista sullo stato dell’arte della ristorazione commerciale?
La ristorazione commerciale in Italia sta vivendo da qualche anno un momento di grande fortuna. Anche dapprima del Covid. Il mangiar fuori in Italia valeva tanto quanto valeva negli altri paesi europei come Francia, Spagna, Germania ma a differenza di questi paesi è molto frammentato: sono ancora molti i ristoranti indipendenti, con una ristorazione commerciale ancora sottorappresentata che negli ultimi anni ha però spiccato il volo. Nel recente passato, c’è stato un momento molto fortunato per la ristorazione commerciale spinta, qualche anno fa, dall’intervento dei fondi di private equity ma non solo, anche per iniziative imprenditoriali. Infatti, sono nate nuove catene e così la ristorazione commerciale si è arricchita, oltre che di punti di vendita di chi c’era già, anche di brand nuovi. Questo ha dato nuova linfa, nuovi stimoli alla ristorazione commerciale.

Nel futuro che tipo di sviluppo avrà?
Non ci sono certezze ma sicuramente continuerà il trend che si è stabilito negli ultimi sette anni. Vedremo una concentrazione e il mercato continuerà sì ad espandersi ma in maniera marginale: il mercato della ristorazione in Italia crescerà ma a cifra singola, 1-2-3%, questo per via delle difficoltà economiche che attraversa il nostro Paese: la recessione è dietro l’angolo e l’inflazione, che viene mantenuta alta, stiamo parlando di un 5%, è più del doppio di quella che avevamo soltanto pochi mesi fa; questo non porterà un’esplosione del mondo della ristorazione in generale ma sicuramente quella commerciale crescerà, perché ci sarà, giocoforza, una ricerca di concentrazione. La catena ha alcuni benefici rispetto al ristoratore singolo, ad esempio, può gestire economie di scala e quindi può dare la stessa qualità ad un prezzo leggermente inferiore, integrando la filiera di fornitura o la distribuzione. Non saranno tutte catene nel futuro ma non ci sarà più soltanto il ristorante tradizionale. Vedremo piccole catene che nascono con uno o due punti di vendita affermarsi nel corso del tempo, fino a diventare sperabilmente grandi, fino a 100 punti di vendita. C’è voglia di sperimentazione e in alcune città è più evidente. Milano è sicuramente un laboratorio molto interessante anche se non tutto ha successo, come è normale che sia, ma vedo anche nuove iniziative andando in giro per l’Italia.

E per quanto riguarda KFC?
Aldilà della flessione dovuta al Covid, la crescita non si è arrestata, KFC sta crescendo velocemente, perché siamo agli inizi. Noi ci muoviamo nel quick service restaurant che altro non è che il fast food, un mondo che ha pochi player, tre o quattro, e noi siamo sostanzialmente gli ultimi arrivati e quindi abbiamo l’imperativo di crescere un po’ più velocemente rispetto agli altri, per arrivare ad avere “dimensione” che è quello che, nelle catene come la nostra, dà una grande visibilità e l’opportunità di avere delle economie di scala e, quindi, una base solida per lo sviluppo futuro. Abbiamo chiuso lo scorso anno con 66 punti di vendita e chiuderemo quest’anno con 80; l’anno scorso abbiamo realizzato 114 milioni di vendite e quest’anno ne faremo 142. Abbiamo anche introdotto il master franchising, che ci consente di seguire meglio lo sviluppo, quindi, rispetto ad un anno fa, quando l’Italia era una branch della corporation americana, oggi, possiamo affiancare alla crescita di questi anni, ottenuta tramite il solo franchising, anche la crescita diretta, cosa che invece non potevamo fare prima.

Ad oggi dove siete presenti e dove avete intenzione di svilupparvi?
Siamo diffusi da Bolzano a Palermo: abbiamo fatto una scelta fin dall’inizio di essere una marca a livello nazionale e, grazie al franchising e agli imprenditori, siamo riusciti a sviluppare aree non tutte concentrate nelle stesse zone: abbiamo chi sviluppa la Sicilia così come qualcuno che sviluppa in Veneto e questo ci ha consentito di essere presenti in quasi tutte le regioni d’Italia, con tre o quattro eccezioni per le regioni più piccole, che però svilupperemo nel corso del tempo. Sostanzialmente siamo in tutte le altre regioni e questo ci ha consentito di emergere e per il futuro, continueremo su questa strada. Inoltre, abbiamo, in questo momento, la capacità di sviluppare, sempre attraverso i nostri franchising, le aree nelle quali siamo e passare da una “presenza” a una penetrazione del territorio. Svilupperemo di più il Sud Italia perché è dove, storicamente, siamo stati meno presenti ma che, con quello che già c’è, stiamo ottenendo ottimi risultati. Quindi perché no?

Quanto “ricchi” bisogna essere per essere un vostro franchisee?
Un po’ ricco ma non ricchissimo... chiediamo ai nostri franchisee di diventare partner insieme a noi, quindi, di sviluppare un’area e non una sola apertura; non siamo interessati ad entrare in contatto con franchisee che abbiano una singola location ma con imprenditori che abbiano, nel corso del tempo, la capacità di aprire fino a dieci ristoranti. Per tornare alla domanda, in generale costa quasi un milione di euro aprire un ristorante con noi. È chiaro che non bisogna avere dieci milioni in tasca per aprire 10 ristoranti, però, bisogna essere imprenditori, perché questo consente, ad esempio, di avere accesso più facilmente ai finanziamenti, però, il ritmo di sviluppo deve essere concordato rispettando i ritmi dell’imprenditore.

Voi avete una presenza sia nei centri commerciali sia nei centri cittadini: cosa guida la scelta?
Ci sono due mondi: il mondo pre-Covid e il mondo post, che ha cambiato completamente i canali di acquisto dei nostri clienti. Nel pre-Covid, abbiamo scelto i centri commerciali in maniera preponderante, prima di tutto perché era facile: licenze incluse, utenze che arrivano alla porta, e così via e, mentre il Covid ha fortemente penalizzato i centri commerciali, abbiamo visto un’accelerazione di altri canali di vendita come il delivery, il drive-through e l’asporto. Tornando ai centri commerciali, abbiamo canali aperti di confronto con le associazioni di riferimento, e qui colgo l’occasione per fare un pubblico ringraziamento per questo. Adesso è tempo di capire che il visitatore del centro è l’asset principale e il centro commerciale deve essere molto bravo a crearvi momenti di frequentazione. Mi spiego meglio: tutti i tenant nei centri commerciali pagano un contributo marketing, quindi, il centro commerciale deve già, per sua natura, promuovere se stesso, lo può fare con la comunicazione ma ci sono anche gli eventi, che hanno sempre grande successo, eppure sono poco proposti dalle gestioni. Poi la commercializzazione che, nel passato, è stata fatta a macchia di leopardo non funziona; mi spiego: quando ci viene proposta una location in cui siamo l’unica attività di ristorazione, in una stecca dove ci sono tutti i negozi di retail, non è la cosa ottimale né per noi né per il centro commerciale. Il concetto di food court all’interno di un centro commerciale è quello che sta prendendo piede e ormai ne abbiamo capito la potenzialità, perché crea un polo di aggregazione che può essere esso stesso un’attrazione e spingere il cliente ad andarci una volta di più.

È complicato fare ristorazione, anche più complicato di fare retail. Però, basta fare le cose bene e metterci passione e si può fare bene tutto!

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