Ventata di freschezza se entrano imprese nuove

ECONOMIA & ANALISI – Turnover delle imprese e imprese giovanili. Troppo spesso sentiamo incensare l'innovazione, i giovani, le start up e tanti altri concetti linguisticamente e culturalmente mutuati dal mondo anglosassone. (da MARKUP 212)

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A me pare che un quadro teorico di come si legano questi concetti ancora manchi. Non è chiara la relazione tra crescita economica e ricambio dell'imprenditoria e delle imprese, in particolare di quelle giovanili. Evidenze scientifiche attendibili affermano che un'ampia frazione di nuova occupazione negli Stati Uniti sia generata dalle imprese di nuova formazione. Anche senza citare il caso di Israele, una start-up nation, nella quale il capitale di rischio, più che quello di prestito, finanzia le nuove attività ad alto rendimento potenziale, caratterizzate da proprietari-manager sovente under 30, appare suggestiva l'idea che la generica innovazione nel tessuto imprenditoriale possa generare, a parità di altre condizioni, maggiore e migliore occupazione e più spinta alla crescita

Quale schema?
Però non è scritto né dimostrato da alcuna parte, quale dovrebbe essere il meccanismo logico che correla a un'impresa giovanile o a una più rapida distruzione-creazione d'impresa un più efficace processo di creazione di ricchezza. Sono logicamente incerte le affermazioni del tipo “innovazione è meglio di conservazione” e “giovane è più innovativo di maturo”.
Ciò che manca nel nostro Paese rispetto ai nostri partner più dinamici, è semplicemente un sistema efficiente di inclusione delle forze più fresche, e in parte fisiologicamente portatrici di nuove idee, nel sistema di produzione del reddito. Si pensi al sistema di finanziamento alle imprese tutto incentrato sulla banca o al fatto che l'innovazione, soggetta a maggiori rischi, viene finanziata a costi più elevati di attività più sicure (ma meno produttive). Si pensi al fatto che manca un sistema esteso e sicuro di co-finanziamento delle start-up, magari indiretto attraverso il finanziamento degli incubatori d'impresa, dove la giustificazione dell'investimento pubblico risiede nel fatto che l'innovazione genera esternalità positive, cioè benefici che se lasciati al solo mercato non si realizzerebbero.

I riscontri possibili
Il ministro Passera sta seriamente lavorando su questa materia e presto, si dice in settembre, dovrebbero essere disponibili le linee guida che potrebbero allineare l'Italia alle migliori pratiche internazionali.
Verifico intanto le possibili relazioni tra crescita economica, turnover delle imprese e accentuazioni territoriali in termini di imprese giovanili. La correlazione tra nuove imprese, in rapporto allo stock (prima colonna di tab. 1), e crescita economica, appare positiva e significativa su base settoriale: i settori con elevato ricambio producono un valore aggiunto per addetto che cresce a tassi superiori di quelli che caratterizzano l'intera economia. Se il tasso di immissione cresce dell'1% anche la variazione del valore aggiunto si muove nella stessa direzione e con intensità quasi proporzionale. Su base provinciale ho valutato la relazione per l'anno 2011 tra incidenza delle imprese giovanili e crescita economica. Pur controllando per il livello del valore aggiunto ed escludendo osservazioni anomale, la relazione, seppure positiva, è statisticamente non significativa. D'altra parte (seconda colonna di tab. 1) le imprese giovanili sono più presenti dove l'età media della popolazione è inferiore. Questo mi lascia molto perplesso e spiega perché la relazione appaia debolissima. Molte imprese nel Mezzogiorno hanno una funzione di impiego di riserva: non si trova lavoro perché non c'è e quindi si diventa, magari per un tempo brevissimo, imprenditori. Ma il collegamento con la produttività e lo sviluppo è ovviamente molto tenue.

Ricambio e valore aggiunto
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