Il vigneto Italia vale 56,5 miliardi di euro, per un corrispettivo a ettaro di 84.000 euro, quattro volte più della media delle superfici agricole

Il vigneto Italia vale 56,5 miliardi di euro, per un corrispettivo a ettaro di 84.000 euro, quattro volte più della media delle superfici agricole. Il dato proviene dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly con una ricognizione sui valori dei 674.000 ettari del vigneto nazionale che da Nord a Sud della Penisola generano un’economia da oltre 30 miliardi di euro l’anno e rappresentano al contempo uno degli investimenti più redditizi in assoluto sul piano fondiario. Con il mercato che risponde con un boom di transazioni, dettate in particolare da fondi e family office interessate soprattutto alle regioni a maggior vocazione enologica e di conseguenza a maggior tasso valoriale, come Alto Adige, Trentino, Veneto, Toscana e Piemonte. Le quotazioni massime più alte dei filari italiani (a volte sopra il milione di euro per ettaro) si riscontrano in provincia di Bolzano, nella zona di Barolo e Barbaresco, sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene e a Montalcino. Si va dai 300-500.000 euro a ettaro per la zona di produzione del Trento Doc, Valpolicella, Bolgheri e Franciacorta. Stime di poco inferiori per le aree del Prosecco Doc, del Lugana (province di Brescia e Verona), del Chianti Classico e Montepulciano. Negli ultimi 15 anni, secondo le rilevazioni elaborate dal Crea, la grande maggioranza delle denominazioni ha incrementato le proprie punte di valore: si va da Montalcino (+63%) a Valdobbiadene (+16%), da areali nel bolzanino come Caldaro (+75%) o Canelli nell’astigiano (+58%) fino al Collio (+50%), all’Etna (+57%), ai filari montani della Valle d’Aosta (+114%).

Il Veneto è in testa alla classifica generale dei valori fondiari in virtù dell’alto valore medio a ettaro, dato dalla presenza di ampi territori vocati a produzioni di successo (Prosecco, Valpolicella, Lugana, Pinot grigio, Valdadige) associato all’estensione del vigneto (circa 100.000 ettari).

Il vigneto Italia è ormai un brand globale specie nei suoi territori più vocati, e questo è un elemento di forza a cui gli investitori non possono sottrarsi -commenta Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione italiana vini (Uiv). Notiamo come in genere l’ingresso di fondi internazionali o di famiglie facoltose nelle aree simbolo della viticoltura italiana sia in primo luogo una questione di prestigio, poi certamente un bene rifugio o un elemento di diversificazione degli asset. Ma alla base c’è la consapevolezza di investire sul valore nel senso più etimologico del termine, più che di aderire a un progetto remunerativo nel breve-medio periodo con il solo valore della produzione. In Italia si assiste a questo e non è un caso se Bernard Arnault, presidente del gruppo Lvmh, ha recentemente acquistato Casa degli Atellani di Milano, vigna di Leonardo compresa”.

Il vino italiano è un capitale strategico del Paese e Vinitaly lo ha ribadito con un rapporto realizzato dall’Osservatorio assieme a Prometeia con i nuovi numeri di una filiera da 31,5 miliardi di euro l’anno -aggiunge Maurizio Danese, amministratore delegato di Veronafiere-. Il settore, che vanta la miglior bilancia commerciale tra tutti i comparti del made in Italy tradizionale, ha una propensione all’export doppia rispetto all’agroalimentare e questo ha un peso anche sul valore fondiario di un prodotto sempre più globale, sempre più riconosciuto come bandiera dell’Italian style. Non è un caso se per Cbre, leader mondiale nella consulenza nel settore real estate, il volume degli investimenti nel vigneto tricolore è segnalato in crescita in tripla cifra nell’ultimo biennio”. 

I vigneti come presidi del paesaggio

Importante anche il ruolo sociale delle terre del vino. Secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, la viticoltura in Italia costituisce da sempre un baluardo a difesa del paesaggio: nonostate la crescita della viticoltura in pianura, tutt’oggi poco più della metà dei vigneti nazionali si colloca sopra i 300 metri di quota, con il 42% in collina (301-700 metri) e il 9% in montagna (sopra i 700 metri). Montagna che in alcuni areali (Valle d’Aosta, Liguria) è il luogo di maggiore presenza della viticoltura con quote superiori al 60%, ma che raggiunge incidenze ragguardevoli (pari o superiori al 30%) anche in altre regioni, come Campania, Basilicata, Calabria, Molise e Piemonte. In totale sono 62.000 gli ettari vitati in montagna, dato destinato a crescere in futuro per via dell’innalzamento delle temperature medie.

Viticolture prevalentemente di collina (281.000 gli ettari complessivi) sono quelle abruzzese (96%), umbra (89%), marchigiana (85%) e toscana (81%), a cui si aggiungono le produzioni di alta collina in provincia di Bolzano (86%) e Trento (40%). Prevalenza di viticoltura pianeggiante in Veneto, Emilia-Romagna, Puglia, Sicilia e Friuli Venezia Giulia.

Fonti utilizzate:

  • Dati catastali: Crea-Indagine sul mercato fondiario, Agenzia delle Entrate-Osservatorio Mercato immobiliare, Rapporti superfici, produzioni e imbottigliamenti delle Do-Ig italiane 2021, da OdC e Masaf via Ismea.
  • Dati altimetrie vigneto: stime Osservatorio del Vino UIV su dati regionali

 

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