Il provvedimento di Regione Lombardia sulla chiusura delle medie e grandi superfici nei week end genera sconcerto e "minaccia di mettere in ginocchio le imprese"

Non ricordo di aver mai visto, nemmeno durante il lockdown 2020, un comunicato stampa congiunto Cncc, Confcommercio Lombardia, Confimprese, Federdistribuzione e Fipe. Di solito queste associazioni comunicano ognuna per sé, a prescindere dalle momentanee convergenze di interessi e obiettivi. Questa volta tutto il fior fiore del commercio al dettaglio, ristorazione compresa, si unisce per pronunciare all'unisono il suo no al provvedimento annunciato da Regione Lombardia che prevede la chiusura nei fine settimana degli spazi della media e grande distribuzione non alimentare, tra cui i centri commerciali, e che impone la chiusura anticipata alle 23 dei pubblici esercizi. Manca solo Confesercenti, per ovvie ragioni, visto che rappresenta i piccoli negozi, esclusi da questa ipotesi, come sono esclusi supermercati, superstore, ipermercati. Confesercenti è però sulla stessa linea d'onda per quanto attiene alla ristorazione, diramando un comunicato di Fiepet-Confesercenti (portavoce Vincenzo Butticé, che ha aperto il bistrot Atrattoria a Monza), poco dopo quello principale delle 5 Associazioni.

"Solo con l'annuncio di una nuova stretta nei giorni scorsi è stato perso il 20% del fatturato che tradotto significa circa un miliardo in un solo mese-precisa Gianni Rebecchi, presidente Confesercenti Lombardia- e nei prossimi 30 giorni questa perdita salirà al 40%" 

Medie superfici: confini non specificati

Non è chiaro cosa Regione Lombardia intenda, nella fattispecie, per medie superfici: o meglio, non è chiaro se è sottinteso o meno il riferimento ai parametri Bersani. Ogni regione può stabilire cos'è una superficie medio-grande pur nei limiti della legge Bersani (il decreto legislativo 114 del 31 marzo 1998) che stabilisce per le medie superfici una fascia da 250 mq fino a 2.500 per i Comuni con popolazione superiore 10.000 abitanti: e da 151 mq a 1.500 nei comuni con meno di 10.000 ab.

Che ristorazione e commercio a dettaglio, soprattutto non alimentare siano già stati messi a dura prova durante i mesi di lockdown, è affermazione di palmare evidenza. Secondo le stime delle Associazioni riunite in questo appello contro la chiusura, il fermo prolungato degli esercizi e le vendite azzerate fanno prevedere "perdite del fatturato ben superiori al 30%". Stime molto alte di perdita anche per i pubblici esercizi: nell’ordine di decine di milioni di euro al mese.

La Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) ha stimato proprio qualche giorno fa, in relazione alle disposizioni dell'ultimo Dpcm, "una mazzata sui fatturati dei pubblici esercizi da 470 milioni di euro ogni mese". "La chiusura alle 24 – prosegue la federazione in un'altra nota stampa- determinerà una contrazione tutt’altro che trascurabile per bar e ristoranti: parliamo di 1,3 miliardi al mese...".  

Come dichiarano le principali associazioni di categoria nel comunicato congiunto, "i negozi della media e grande distribuzione, i centri commerciali e i pubblici esercizi sono stati tra le prime realtà ad adeguarsi ai protocolli di sicurezza, gestendo l’affluenza e la sanificazione degli ambienti, rilevando la temperatura e dotando di prodotti igienizzanti i clienti. La sicurezza di clienti e collaboratori è sempre stata messa al primo posto. Dalla riapertura degli scorsi mesi i punti di vendita hanno dato costantemente mostra di poter esercitare la propria attività in totale sicurezza, offrendo le garanzie necessarie ai cittadini e contribuendo a contenere la pandemia".

"Il coprifuoco serale, con la chiusura anticipata dei pubblici esercizi ha risvolti dubbi in termini di efficacia nella prevenzione del contagio -prosegue il comunicato- ma avrà conseguenze certamente devastanti nella propensione a frequentare le attività di ristorazione. Per contro, l’anticipo della chiusura rischia semplicemente di favorire code e assembramenti, proprio quello che, in teoria, si vuole evitare".

Le Associazioni condividono la necessità di mettere in atto tutte le misure necessarie per contrastare la diffusione del Covid-19, anche valutando la definizione di ulteriori protocolli di sicurezza, ma, ribadiscono "è necessario considerare le conseguenze su un settore già compromesso da oltre due mesi di chiusura, che hanno generato importanti contrazioni di vendita a fronte di costi fissi incomprimibili e spese aggiuntive per il rispetto dei protocolli di sicurezza. Il settore è il motore dell’intera economia. Affossare il retail significa affossare l’economia del Paese".

 

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