Entusiasti o pionieri? Dodici archetipi per muoversi nella crisi

Nella relazione con gli spazi, le persone dicono molto delle loro percezioni, compresi gli stili di consumo. Una lettura dal punto di vista della città

Le persone sono i giusti indizi per capire come si sta costruendo il nuovo rapporto tra brand e spazi urbani. L’osservazione di come gli abitanti dei luoghi vivono il loro rapporto con i confini architettonici e di come le loro comunità disegnino mappe delle azioni variamente sostenibili, dal punto di vista economico e sociale, può essere uno strumento per non calare dall’alto un’idea di territorio, attività che i brand devono guardare con occhio critico, essendo spesso coinvolti in operazioni di marketing territoriale. Nella loro relazione con gli spazi che abitano, le persone dicono molto delle loro percezioni, anche nei confronti del consumo. Una lettura degli stili di vita archetipici dei relativi archetipi di città l’avevano fatta, subito dopo la pandemia, Davide Agazzi, Matteo Brambilla e Stefano Daelli nella loro ricerca Città dal Futuro. Lo studio anticipava le possibili mutazioni dei cicli di vita delle città, in cui vengono immesse risorse così da attivare una fase espansiva (pensiamo oggi al Pnrr).

Come le persone vivono il rapporto con la città

Lo studio dei tre co-fondatori di From, agenzia specializzata in trasformazioni urbane, partiva dall’interrogarsi su come le persone vivano il rapporto con la città in riferimento a quattro punti cardinali, trasferiti su piano cartesiano: autonomia o dipendenza in ascissa, fiducia o disincanto in ordinata. In questo scenario, l’autonomia è quella di chi sente la sua qualità di vita svincolata dalla città e dal territorio in cui abita, mentre chi ha una relazione più di connessione e dipendenza vede la sua qualità di vita legata a doppio filo con il destino della città che lo circonda. In un’altra prospettiva, le persone che esprimono fiducia sulle mutazioni urbane sono in generale ottimiste sul fatto che la città saprà costruire termini e condizioni vantaggiose, mentre chi è più vicino all’estremo del disincanto tende a non volersi più affidare a promesse che ha già sperimentato essere vuote e si impegna a costruire una nuova dimensione di comunità fuori dal centro. In un’altra ottica, potremmo individuare l’ottimismo come adeguamento all’ordine di sistema, mentre il disincanto può innescare una spinta creativa out of the box. Il disincanto non va quindi letto in maniera negativa, ma rappresenta invece il custode della vitalità personale e comunitaria: ogni sistema, anche individuale, ha bisogno di trasgressione, di uno slancio lontano dall’adattamento per non irrigidirsi e mantenere quella flessibilità fondamentale per attraversare la mutevolezza degli scenari.

Una bussola per orientarsi

Navigando tra questi estremi, emergono profili/archetipi che mettono a fuoco alcuni comportamenti che non vanno certamente presi come assoluti, ma che possono aiutare i brand a orientarsi. I diversi profili pongono l’accento sulla reazione dei gruppi sociali alla pandemia, ma possono essere letti anche come modelli di risposta alla percezione di crisi. Abbiamo letto i profili aggiungendo le nostre ipotesi di comportamento verso il consumo o di relazione con i brand e di sfaccettature identitarie. Vediamo di seguito gli archetipi più interessanti.

Il grande scommettitore
È un ottimista e ha dalla sua capitali e proprietà che sta già pensando come sfruttare. Pronto a investire quando i prezzi dei territori svuotati scendono, è fiducioso nel normale ciclo di discesa e risalita del mercato. La sua paura più grande è di perdere la scommessa e il suo legame con l’ambiente è di tipo opportunistico, essendo la sua percezione di forte autonomia: posso vivere bene dove voglio perché il valore è nelle mie scelte. Questo profilo sogna di vivere in una città esclusiva, delimitata, stimolante dal punto di vista culturale. Essendo altospendente, possiamo immaginarlo apprezzare prodotti di fascia superiore, più plausibilmente legati a un concetto di lusso tradizionale. Rappresenta la parte di noi che rischia e intraprende, ma che desidera conferma di aver vinto.

Il pioniere dei margini
Dimostra indipendenza rispetto alla città, ma vira verso il disincanto. Nella sua esperienza, soprattutto durante la pandemia, vivere in città non si è dimostrato un buon affare e cerca la libertà in luoghi fuori dalle mura cittadine. Chi aveva qualche risparmio si è trasferito per ritrovare il piacere di essere parte attiva della crescita di un territorio, coltivando il sogno di contribuire a un ripopolamento di zone marginali o a uno stile di vita alternativo a quello cittadino. Il suo cambio di vita potrebbe essere finanziato dall’affitto della vecchia casa o da qualche piccola rendita. A questo tipo di persona, forse più intuitiva e creativa, il caos non fa paura, le contraddizioni sono fonte di creatività e la sperimentazione continua è un bisogno. L’ordine rigido è, invece, causa di grande ansia perché chiude alle possibilità e quindi a nuove strade. Il progresso per lui risiede in questa possibilità di trasgressione alle forme imposte dall’esterno. Ha aspetti anarchici, anche nei confronti del consumo di massa, per cui sceglie merci e beni di piccoli produttori o a basso costo, immune da politiche di percezione di valore legate al pricing. Sperimenta nuove formule di pagamento, come le monete alternative e fa parte di gruppi digitali che scambiano informazioni su prodotti considerati affidabili. Per i brand, queste sono le comunità da tenere d’occhio per veder emergere le tendenze che verranno, perché proprio i fuochi di auto-organizzazione fanno nascere prototipi di nuovi modelli economici e di stili non solo estetici, ma anche di consumo. In noi è la parte che inventa nuove strategie quando è necessario uscire dalla famosa zona comfort.

Il metropolitano gaudente
Sa godersi le opportunità ancora disponibili nei momenti di crisi e durante il Covid ha sofferto la sospensione di ritualità sociali come le cene al ristorante o le uscite con gli amici, che adesso sta recuperando con un’intensa partecipazione alla movida. Il suo legame alla città è condizionato dalle opportunità di divertimento e dalla libertà di sfruttarle. È un edonista contemporaneo che segue le mode e probabilmente apprezza tutte le iniziative di intrattenimento e socializzazione offerte dai brand. Per lui spendere un po’ di più in marche che hanno un’alta visibilità e approvazione sociale, magari perché considerate icone della sostenibilità con forte appeal mediatico, non è un problema, ma quasi un dovere civico. È la parte di noi che socializza intorno al concetto di piacere, la parte vitale con effetto placebo. Della marca vuole innamorarsi.

Comunità Trapiantata
Ha scelto di spostarsi dalla città sull’onda del mito della fuga collettiva. Per lui le radici sono nella cerchia di persone fidate e il trasferimento fuori dal centro gli ha fatto scoprire un potere d’acquisto più alto. Se il primo gruppo si è spostato seguendo un leader naturale, è possibile che la forza di attrazione della prima cellula attiri per passaparola i primi pionieri che sono andati in avanscoperta. Il tessuto economico nasce in maniera botton up intorno alle relazioni affettivo-relazionali e di interesse. Nel rapporto con noi stessi, è la parte che mette insieme le forze e si dà da fare per creare nuove occasioni. Il brand in questo caso dovrebbe offrire strumenti ai pionieri.

L’attivista entusiasta
Crede nella città che verrà, vuole partecipare attivamente all’innovazione sociale ed è un portabandiera delle politiche di rinnovamento urbano decise a livello europeo. Si sente pioniere, ma all’interno della città. Sta pensando di investire in mezzi elettrici ed è aperto alle novità proposte (potremmo pensare alla farina di insetti o a le proposte fusion che il mercato offre), cerca di far crescere il quartiere e alterna ottimismo a stanchezza. La sua passione verso obiettivi civici e di cambio di mentalità assorbe molto della sua attenzione e sarà quindi attirato da brand che guardano all’innovazione sociale, con una specializzazione sui suoi interessi. È la parte di noi che si rende disponibile all’entusiasmo e a farsi trascinare in maniera collettiva, sapendo che l’unione fa la forza.

Il giramondo frugale
Si sposta per istinto, per attraversare nuove esperienze e mettere alla prova la sua capacità di entrare in nuove comunità. Minimalista, sceglie con cura cosa è importante e cosa no e la sua attenzione è riposta sul valore e la qualità di quello che ha decretato essere fondamentale. Chi è frugale non spreca, cerca la sostanza e non la forma, è interessato all’impegno messo nel tutelare le caratteristiche del sistema di valori a cui sceglie di appartenere. Potrebbero appartenere a questo profilo i cultori della cucina zero waste mettendo insieme nuove istanze ecologiche e sensibilità antica. Non c’è senso di proprietà, ma uno slancio alla condivisione consapevole e solidale, con l’attenzione a non consumare oltre il dovuto per lasciare anche ad altri. Se questo stile è per alcuni una pratica di vita, oggi se ne è fatta una tendenza social con il modello più fashion del Van Life, che viaggia in camper retrò, ma sa anche usare bene le stories su Instagram e ha uno stile da trasmettere. In questo senso, il viaggio diventa meno personale e il modello puro un po’ si svuota, con il vantaggio però della divulgazione di pratiche ecologicamente sostenibili. Il confine tra stile nomade e freak chic sembra sottile, ma è in realtà quasi un muro: chi ha il desiderio autentico di muoversi ed esplorare non vuole dover rendere conto a nessuno ed è disinteressato ad apparire. È la parte di noi che ama liberarsi dalle dipendenze. I brand devono farsi trovare per strada e facilitare la libertà economica e di tempo.

Il cultore del quartiere
Ama i confini del suo villaggio urbano, vuole trovare il negozio sotto casa e potersi fidare del consiglio di chi lo gestisce. La dimensione piccola e ricca di occasioni gli fa stringere relazioni più intense, piacevoli con il rischio di sfociare in provincialismo. Sogna una rete di prossimità fitta in cui sia possibile vivere un sentimento di casa allargata che permetta di scendere nei luoghi nevralgici del quartiere e fare due chiacchiere, muoversi a piedi o in bici, trovare servizi a meno di un quarto d’ora, senza prendere mezzi. Perché si crei il culto del quartiere occorre che si mantenga una connotazione identitaria, con iniziative commerciali indipendenti che possano trasmettere autenticità. L’atmosfera del luogo crea identità e un senso di protezione, anche sociale. Il cultore del quartiere si fida di chi ha intorno e ci tiene a essere affidabile. Lo shopping è nel negozio di quartiere per sostenerlo. Se sostituiamo quartiere a provincia, ritroviamo diretti a questo profilo i brand legati storicamente o in versione innovativa al territorio.

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