Il vino delle Langhe non cede ai grandi investitori esterni

Langhe (not) for sale: il gioiello del panorama vitivinicolo non cede ai grandi investitori esterni

Una ricerca dell’Università Cattolica di Milano e Brescia conferma l’unicità del territorio dove le generazioni junior e senior sono sostanzialmente poco propense a vendere: in vent’anni le aziende vitivinicole del nostro Paese si sono ridotte di oltre 500 mila unità. Le aree di maggiore valore sono segnate da fenomeni di acquisizioni e fusioni, dove intervengono fondi di investimento e investitori esterni. Cosa accadrà al territorio vitivinicolo delle Langhe dove domina ancora l’impresa familiare: vendere o conservare? Se le è chiesto Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani che, insieme al Consorzio di Tutela Roero, ha voluto affrontare la tematica, Langhe (not) for sale, l’identità e il valore della comunità, nell’edizione 2024 di Changes, all’interno di Grandi Langhe. La due giorni, a Torino, di presentazioni e anteprime delle nuove produzioni vinicole di Langhe e Roero, con 300 cantine presenti.

La ricerca

Parliamo di un Consorzio di 568 aziende vitivinicole associate, 10 mila ettari di vigneti, 66 milioni di bottiglie prodotte, 9 denominazioni tutelate (Barolo, Barbaresco, Dogliani, Dolcetto di Diano d’Alba, Barbera d’Alba, Langhe, Dolcetto d’Alba, Nebbiolo d’Alba, Verduno Pelaverga). A questo si aggiunge il Consorzio di Tutela Roero, 250 aziende vitivinicole associate, 1300 ettari di vigneti, 7,5 milioni di bottiglie, 5 tipologie tutelate. Per valutare il sentiment dei proprietari delle cantine e dei vigneti rispetto all’ipotesi di vendita, o meno, delle proprie aziende, è stata presentata una ricerca di natura psico-sociologica realizzata dal Centro di ricerca sullo sviluppo di comunità e i processi di convivenza (Cerisvico) dell’Università Cattolica di Milano e Brescia e coordinata dalla professoressa Maura Pozzi e dal ricercatore Adriano Mauro Ellena.Il campione selezionato di oltre 200 cantine, diviso opportunamente tra over 40 e under 40, ha risposto sostanzialmente in modo omogeneo in termini economici. Nessuna differenza tra mondo junior e senior sull’intenzione di cedere l’azienda a grandi investitori esterni. Su una scala da 0 a 5 è risultata bassissima l’adesione e pressoché identica la propensione (1,76/1,79), un poco più alta se l’acquirente appartiene al mondo del vino (2,40/2,42). La vera differenza è invece nel processo psicologico che si mette in atto, come hanno spiegato gli autori. Per i junior vendere è qualcosa legato all’impatto sulla comunità, al futuro del territorio. Ė un po’ il trend che segna le nuove generazioni, evidenziato anche dall’impatto del clima sul pianeta. Per il senior è più centrata sull’azienda personale. “I giovani hanno visione più collettivistica, il senior più individualistica e autocentrata nella questione di vendita” ha evidenziato Adriano Mauro Ellena.

Un mondo in cambiamento

Insomma, le Langhe, territorio in salute anche dal punto di vista turistico (il 57% sono turisti stranieri ha evidenziato, Bruno Bertero, presidente dell’Atl Langhe, Monferrato e Roero) vuole sottolineare una certa diversità rispetto al panorama nazionale. Rivendichiamo una certa irregolarità: non vogliamo stimolare una rendita di posizione, ma siamo diventati tali anche per le aziende familiari: se togliamo l’aspetto umano leviamo l’anima al nostro prodotto -ha tenuto a dire Matteo Ascheri, presidente Consorzio di Tutela Barolo, Barbaresco, Alba Langhe e Dogliani-. È anche un problema se un’azienda vuole comprare un ettaro di Barolo: i prezzi sono veramente elevati. Più che vendere di più oggi la questione è vendere meglio. Il mondo del vino sta cambiando, se ne consumerà sempre meno, è soggetto a politiche salutistiche, cambiamenti di modalità di consumo. Si avrà sempre più bisogno di vino di qualità, meno di vino comune”. Cifre non se ne fanno. Ma da quel che filtra si stima che un ettaro di Barolo possa schizzare anche a 2-4 milioni di euro. Secondo una fotografia scattata da Cbre nel settore vitivinicolo, in Italia dal 2016 al 2022 si sono registrate circa 150 transazioni sopra il milione di euro, per un valore sopra i 2 miliardi e circa 13 mila ettari acquistati. E andando a vedere dove si sono verificati i maggiori movimenti (acquisizione di vigneti, cantine, quote di imprese) il Barolo Docg (+8,4%) segue il Brunello di Montalcino Docg (+16,1%) come maggiori performance. Secondo la ricerca gli junior considerano gli investitori in un’ottica non monolitica, portatori di progetti industriali e forti dotazioni di capitali. I senior, al contrario, hanno una visione più univoca degli investitori esterni, visti come meri operatori a fini speculativi.

Terze vie, il caso Argea

Un nuovo modello è quello portato da Argea. Da piattaforma familiare in Veneto, con l’azienda Botter, ha acquisito in Piemonte, a Priocca d’Alba, Mondodelvino e ad Acqui Terme Cuvage per il vino spumante; poi Zaccagnini in Abruzzo, Poderi Dal Nespoli in Emilia-Romagna oltre ad avere relazioni in Puglia e  Sicilia . “Facciamo 450 milioni di euro di fatturato per 150 milioni di bottiglie -ha spiegato l’ad Massimo Romani-. Argea acquisisce cantine, ma ci siamo dati come regola che le famiglie reinvestano nella holding, rimangono a bordo, nei cda o con ruoli operativi (per esempio, enologo, brand ambassador, commerciale). E le strategie si decidonoinsieme con il nostro fondo Clessidra”. Un invito a puntare sui giovani è arrivato da Massimiliano Cattozzi, responsabile della direzione agribusiness di Intesa Sanpaolo, unità che vanta 230 filiali e punti operativi nel territorio con altre 20 in fase di apertura. “Seguiamo tutta la filiera, vogliamo stare vicini a grandi e piccole aziende. Abbiamo molte attività di formazione per decisioni strategiche e critiche, internazionalizzazione, Pnrr, passaggio generazionale. Nel comparto agricolo le aziende giovani soffrono perché sotto scala. Eppure dal 2019 al 2022 hanno avuto un incremento di fatturato del 9%, rispetto al 5% di quelle gestite da senior; la formazione media in aziende giovani copre il 46-50% dei capi azienda, in quelle senior non arriva al 20%; gli investimenti in innovazione in aziende guidate da giovani sono intorno al 25%, nelle senior il 10%. Dobbiamo favorire l’impresa giovanile e il passaggio generazionale”.

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