Inclusione, la nuova scommessa del mondo del lavoro

Il ruolo del management delle imprese e dei leader nella promozione di una cultura inclusiva (da Mark Up n. 283)

Il pensiero divisivo non è solo vecchio e, dunque, antistorico, ma rischia anche di essere improduttivo e di ostacolare la crescita e la generazione di valore, a partire dai luoghi di lavoro: da questo assunto nasce “Global Inclusion - Generazioni senza frontiere”, evento nel quale imprese, associazioni no profit e università vogliono promuovere insieme una cultura inclusiva nei luoghi di lavoro.

Ne abbiamo parlato con Andrea Notarnicola, consulente di direzione per il cambiamento culturale delle imprese Partner Newton.

“Ci siamo chiesti al di là di genere, orientamento sessuale, interculturalità, aging, disabilità, salute, quali siano le diverse questioni che possono essere messe in campo e trattate quando parliamo di inclusione, quale sia il ruolo del management delle imprese nella promozione di questa cultura inclusiva e abbiamo radunato l’intero sistema del diversity management italiano per provare a definire una sorta di manifesto per una leadership inclusiva”.

Inclusione nei confronti di chi?

L’inclusione nei confronti di chi esprime un talento e un potenziale nei luoghi di lavoro delle imprese, indipendentemente da tutti questi fattori. Noi sappiamo che le imprese oggi sono molto interessate al tema, ma ci rendiamo conto di come trattare questo argomento per categorie non esaurisca la questione. Esiste un ampio spettro di stereotipi e pregiudizi che porta le imprese a promuovere e valorizzare persone che sono alla fine molto conformi e rappresentative di un modello di leadership chiuso. Faccio un esempio: la questione della personalità fa sì che i pregiudizi sugli introversi portino le imprese a pensare che la leadership sia estroversione e che l’estroversione sia leadership; nelle organizzazioni vediamo valorizzata una certa modalità di presentarsi e questo porta alla crescita delle discriminazioni sull’aspetto fisico; così cresce anche la ricerca di persone che devono necessariamente essere belle secondo determinati standard o che devono comunque rispondere a una sorta di immaginario del talento che non necessariamente è poi sostanziato da competenze tecniche reali.

Qual è il valore aggiunto che dà l’inclusione all’interno di un’azienda?

Sappiamo che l’inclusione delle diversità produce valore in termini di innovazione, creatività, valore economico tangibile e quindi ha un impatto sul valore azionario, sul flusso di cassa; senz’altro produce un valore in termini reali, quindi cresce l’engagement delle persone nelle organizzazioni. Sappiamo che la capacità di essere centrati sul cliente cresce nella misura in cui lavoriamo su questi temi; oltre alle questioni etiche e quelle di sostenibilità, esistono tantissimi vantaggi che ormai sono noti. Quello che serve è identificare le barriere che impediscono alle imprese di essere inclusive; siamo consapevoli che l’inclusione è un valore, forse non sempre siamo consapevoli del lavoro che va fatto sul piano culturale per rimuovere le barriere che impediscono la creazione di una cultura inclusiva.

È un valore sentito in maniera diversa a seconda delle generazioni?

Le nuove generazioni sono più motivate alla creazione di un ambiente inclusivo perché credono innanzitutto nel valore della diversità di pensiero e quindi entrano nel mondo del lavoro in qualche modo dando per scontata la capacità dei datori di lavoro di valorizzare le persone e anche le diversità di pensiero. Va detto che noi consideriamo l’età come un fattore di discriminazione e riusciamo a coinvolgere molto anche i senior, dal momento che l’età, secondo alcune ricerche, è considerata il fattore più grave di discriminazione in Italia e quello senz’altro più sentito; le persone in Italia sopra i 50 anni pensano di non poter esprimere più nelle imprese lo stesso valore che potevano esprimere prima, perché sentono che, se non hai dato tutto entro i 50 e non hai fatto carriera, poi diventa molto difficile esprimere il proprio talento; quindi se includiamo l’aging tra i fattori di potenziale discriminazione vediamo come alla fine tutti possano sentirsi protagonisti di questo processo.

Nel mondo del lavoro ci sono dei settori più aperti all’inclusione rispetto ad altri?

Parlerei di tipologie di imprese più che di settori. Senz’altro le multinazionali, che sono presenti su tanti mercati e lavorano su questo tema da tantissimi anni, indipendentemente dal business di riferimento, hanno maturato una cultura di impresa aperta alla diversità e comunque pronta a gestire la diversità, non fosse altro perché sono presenti a livello globale. Indubbiamente alcuni mondi, penso al mondo finanziario o a quello delle tecnologie, soffrono un po’ di più di una cultura che comunque ha sempre premiato un certo tipo di leadership alpha, non fosse altro perché la tecnologia è sempre stata considerata molto maschile ... senz’altro alcuni ambiti, alcuni settori, hanno dovuto lavorare in maniera più intensa per creare un ambiente di lavoro inclusivo.

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