La mdd italiana all’estero e la sua difendibilità #Marca2020

Per la Pmi italiana la produzione alimentare in co-packing risulta una leva importante per affrontare l'export
Export per la Pmi italiana fa spesso rima con mdd. Ecco perché il confronto all’Italian sounding passa da una migliore collaborazione fra insegne straniere e co-packer italiani

Verso #Marca2020, la fiera dei prodotti e produttori mdd in programma a Bologna dal 15 al 16 gennaio prossimi, una riflessione sulla difendibilità del prodotto autenticamente italiano in mdd rispetto alle proposte analoghe in Italian sounding.

Export per la Pmi italiana fa spesso rima con mdd. Ecco perché il confronto all’Italian sounding passa da una migliore collaborazione fra insegne straniere e co-packer italiani. In questo contesto specifico quali sono i margini di tutela di un produttore italiano di private label, verso l'estero?
È possibile depositare un marchio a livello nazionale o sovrannazionale come per esempio il deposito europeo valido per tutti i 28 Paesi dell’Unione. Al di fuori dell'Ue, il deposito internazionale è regolato da appositi accordi che oggi coinvolgono più di 100 Paesi nel mondo. Naturalmente il costo di registrazione cambia in funzione del numero di Paesi per i quali si richiede la tutela, ma non solo. “I marchi -sottolinea Gianluigi Volontè, Responsabile del Settore Marchi di Rapisardi Intellectual Property- sono depositati per classi merceologiche di prodotti e servizi, quindi se uno opera nel settore alimentare dovrà chiedere la tutela di un marchio per il suo gruppo di riferimento. Più classi sono coinvolte maggiore è il costo”.

Elena Cristofori Rapisardi, avvocato
Il retailer

I retailer alimentari sono le uniche realtà che effettuano depositi per un numero molto ampio di classi merceologiche. Questo è dovuto al fatto che potenzialmente possono vendere praticamente di tutto a marchio proprio, ma non significa necessariamente che richiedano anche la registrazione per molti Paesi”. Quali sono allora i margini di tutela di un produttore italiano di private label, che fornisce un retailer straniero? “Dipende da chi è il titolare del marchio -risponde Gianluigi Volontè-, e da quanto è stabilito nel contratto tra fornitore e retail. I quali potrebbero agire insieme per risolvere eventuali problemi derivanti da prodotti di terzi”.

Gianluigi Volontà, Responsabile del Settore Marchi di Rapisardi Intellectual Property

Le situazioni che si possono venire a creare non mancano: il retailer può adottare nelle sue linee mdd dei prodotti italiani in funzione premium e degli Italian sounding per l'entry level oppure inserire l'Italian sounding in attesa di risolvere problemi di fornitura con il co-packer italiano. E si può trovare a competere, infine, con prodotti mdd italiani versus competitor che usano mdd Italian sounding. Pare difficile, però, in ogni caso, che l’insegna straniera che fa vero italiano abbia interesse a difendersi legalmente da concorrenti che facciano finto italiano.

Costi e strategie

Tornando al costo del deposito di un brevetto, in pratica si parte da poche centinaia di euro per una semplice registrazione nazionale fino a qualche milione di euro per una copertura mondiale per un ampio numero di categorie merceologiche. Il deposito di un marchio dura 10 anni ed è rinnovabile.

Non si deve, però, procedere improvvisando, è necessaria una strategia

“È utile -precisa Elena Cristofori Rapisardi-, effettuare la registrazione nel Paese dove si trova la sede dell’azienda, dove si trova la produzione e dove si vende. Ma anche nei futuri mercati e nei Paesi contraffattori. E perfino in un Paese verso il quale non c’è ancora un interesse immediato ma solo possibile; perché lasciare spazio ai concorrenti?”. Naturalmente tutto dipende dal budget disponibile e dalle priorità, così per prima cosa il professionista valuta insieme all’azienda quali sono le sue esigenze e, quindi, esegue un’approfondita analisi sul mercato di interesse. “Purtroppo -prosegue Elena Cristofori Rapisardi, avvocato di Rapisardi Intellectual Property- la tutela della proprietà intellettuale è ancora vista come un costo e non come un investimento e una forma di tutela. La prima funzione del marchio è la tranquillità di un’azienda”.
“Sarebbe utile -conclude Gianluigi Volontè-, che lo Stato supportasse le aziende non solo con la tutela del marchio, ma anche dopo, quando il falso è scoperto e si agisce per far valere i propri diritti, soprattutto all’estero dove è più difficile difendersi”.

Natura della minaccia

Italian sounding e agropirateria sono tra le minacce più gravi nei confronti del Made in Italy alimentare. Italian sounding è l’imitazione di un prodotto, di una denominazione o di un marchio attraverso un richiamo alla presunta italianità che, in realtà, non trova fondamento nel prodotto stesso. Mentre l’agropirateria è la vera e propria contraffazione dei prodotti alimentari.  “Secondo Coldiretti -ricorda Elena Cristofori Rapisardi- il giro d’affari che ruota attorno al mondo dei falsi Made in Italy, sia come italian sounding che come vere e proprie contraffazioni, nel settore alimentare si aggira intorno ai 100 miliardi di euro nel mondo e costituisce circa due terzi del fatturato totale del settore, sottraendo all’Italia circa 300 mila posti di lavoro. In Italia, secondo il Ministero dello Sviluppo Economico e il Censis, i settori più colpiti dai falsi sono l’Abbigliamento, i Cd, Dvd e Software - in calo - e appunto il settore Alimentare, per un giro d’affari complessivo stimato di quasi sette miliardi di euro. I prodotti italiani più imitati sono i Formaggi (Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Asiago, Montasio Pecorino e Fontina), i Prosciutti (Prosciutto di Parma), il Vino, l’Olio, la Pasta e molti altri”.

Il Bel Paese ha un enorme vantaggio rappresentato dalle Indicazioni Geografiche: 171 prodotti DOP e IGP sui 780 riconosciuti in Europa

Le origini protette

“Un marchio IGP -spiega Gianluigi Volontè- prevale su un uguale prodotto europeo privo di indicazione geografica”. I marchi Dop e IGP sono però riconosciuti a livello europeo ma non a livello internazionale, da qui la necessità di rafforzare il loro valore anche al di fuori del vecchio continente.
Nel depositare un marchio rappresenta un indubbio vantaggio agire per primi. Alcuni casi mostrano la verità di questa affermazione. Nel 1964 la società canadese Maple Leaf Foods registra il marchio “Parma”, obbligando così il Consorzio del Prosciutto di Parma a vendere il prosciutto con la dicitura “The Original Prosciutto”. La situazione si sblocca nel 2017 con l’accordo Ceta, con il quale è stato stabilito che la denominazione “Prosciutto di Parma” si può utilizzare in Canada coesistendo con il marchio “Parma” di Maple Leaf Foods. C’è poi il caso del “Parmigiano Reggiano Neozelandese”. Nell’aprile del 2019 Kraft Food Groups Brands deposita la domanda di marchio “Kraft Parmesan Cheese” a cui il Consorzio del Parmigiano Reggiano si oppone. L’Ufficio Marchi Neozelandese non ha ancora preso una decisione sulla questione. E che dire “del Valpolicella Californiano”? Nel 2016 Popcorn Design LLC deposita il marchio “Calpolicella” in California per un vino prodotto localmente. Il Consorzio di Tutela del Valpolicella si oppone e la sua istanza è accolta, impedendo così la registrazione del nome del vino.

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