Politiche concrete di diversity e inclusione sia a livello contrattuale, sia in termini di cultura del benessere e della flessibilità: così Mondelez valorizza le risorse umane

Le ultime ricerche ci dicono che, in termini di reputazione, i dipendenti sono considerati 3 volte più credibili dei manager. Un’altra buona ragione per fare delle risorse umane un fattore strategico non solo interno, ma anche esterno all’azienda. Per riuscirci, i dati ci dicono che servono politiche di diversity e inclusione (D&I) che rispondano a criteri di flessibilità, meritocrazia e più in generale a una cultura del lavoro agile e armonica rispetto alla vita privata.

La pandemia, in questo senso, ha fatto da “stress-test” collettivo. Chi aveva già un solido orientamento su questo fronte, ne ha tratto beneficio e ha saputo riorganizzarsi in fretta, continuando a mantenere inalterate le proprie performance grazie anche a collaboratori sereni, fidati e con spiccato senso di appartenenza. Tra queste realtà c’è Mondelez, che già dalla fine degli anni Novanta aveva deciso di eliminare la timbratura del cartellino quattro volte al giorno, in favore di una cultura della produttività anziché del tempo speso in ufficio. Da allora, l’azienda ha continuato a implementare una visione sempre più orientata a valori di questo tipo, facendo di diversity e inclusione una vera e propria strategia basata su tre pilastri fondamentali. Si parla di azioni concrete, che vanno dal livello contrattuale a una cultura del benessere con annesse politiche e servizi.

A parlarcene (a breve anche in versione podcast) è Roberta Candileno, responsabile risorse umane di Mondelez per l’Italia e per la Grecia.

Partiamo da alcuni numeri: le vostre politiche di diversity & inclusion (rivolte a tutti i dipendenti) si traducono spontaneamente in una gender balance nettamente migliore rispetto alla media nazionale…
A livello di D&I c’è stato sempre un approccio strategico da parte dell’azienda, in particolare se si parla di equità di genere anche nelle posizioni apicali. In Italia, la nostra percentuale femminile nella popolazione dirigenziale è pari al 45%, decisamente sopra la media, nella fascia più bassa di funzionari e quadri siamo al 50%. Guardando poi il trend di assunzioni e promozioni negli ultimi tre anni, invece, abbiamo una percentuale femminile superiore al 50%. Parliamo di risultati che si ottengono dopo anni di investimenti, focus group e coinvolgimento diretto dei dipendenti, ma anche delle nostre parti sociali rispetto a queste iniziative. Abbiamo, in proposito, una strategia a tre pilastri che, tra l’altro, ci consente di essere attrattivi rispetto al talento esterno.

Ci parli di questi tre pilastri…
Il primo pillar della nostra strategia di diversity e inclusione è quello della partnership e del networking, esterni ed interni, come la D&I Week appena conclusa. Parliamo di un evento rivolto ai dipendenti e pensato per fare proprio il punto sul nostro quadro strategico rispetto a tali tematiche, condividendo anche alcune best practice che ci rendono orgogliosi. Un palinsesto di iniziative in remoto che comprendevano interventi dei nostri business partner, sensibilizzazione rispetto agli unconscious bias, una tavola rotonda con tutto il vertice al femminile dove si sono condivise esperienze, ma anche un appuntamento al buio tra colleghi di funzioni diverse, per farli conoscere tra loro. Cerchiamo sempre di trattare queste tematiche con modalità un po’ nuove e divertenti ogni anno: siamo molto attenti a creare engagement e un clima favorevole. Passando al secondo pilastro, il focus è su flessibilità e agilità. Già dalla fine degli anni '90 avevamo tolto la necessità di timbrare il cartellino 4 volte al giorno e impostato un discorso di fiducia e flessibilità, basato sulla misurazione delle performance e degli obiettivi raggiunti, non delle ore passate in ufficio. Da allora quella logica di work-life balance è stata potenziata con l’idea anche di sostituirci al dipendente nelle attività di basso profilo, che per lui rappresentano però una perdita di tempo libero: farmacia, tintoria, take-away, sartoria, sono tutti servizi gestiti all’interno dell’azienda. Abbiamo inserito l’estetista, i massaggiatori, una palestra aziendale con un personal trainer. Siamo dunque oltre le solite iniziative di sconti, ma orientati a un vero e proprio programma di benessere, che comprende tra l’altro corsi di yoga, cucina e molto altro: tutte iniziative che oggi, ove possibile, sono state spostate sul virtuale.

Rispetto al benessere dei dipendenti, avete anche inserito novità contrattuali?
Assolutamente sì, perché crediamo davvero che un dipendente più felice e soprattutto sereno lavori meglio, a beneficio di tutti. Abbiamo inserito nel nostro contratto integrativo una serie di permessi retribuiti in misura superiore a quelli da Ccnl (Contratto Collettivo Nazionale Lavoratori ndr), ed anche per patologie o situazioni familiari di norma non riconosciute. In questo secondo pillar, poi, si inserisce anche la proposta di un master chiamato Caregivers portato avanti con il nostro partner Lifeed, ed incentrato sull’idea che, nel momento in cui ci si prende cura di qualcuno nella sfera privata, si sviluppano competenze soft utili anche al lavoro, dalla maternità a chi si occupa di un familiare. Riconoscere al dipendente che ciò che fa nel suo privato è importante anche per il lavoro sostiene il suo equilibrio non solo a livello pratico, ma anche a livello culturale, facendolo sentire compreso. Una dimensione, quella di connubio tra privato e professionale, che tra l’altro con il Covid è stata particolarmente messa alla prova.

Passiamo al terzo pilastro delle vostre politiche di D&I…
Il terzo pillar è quello del sostegno alla genitorialità. Anche qui, abbiamo inserito nel contratto 15 giorni di paternità, quindi superiori a quelli previsti per legge. Per la lavoratrice che rientra al lavoro dopo la maternità, inoltre, abbiamo diversi sistemi di facilitazione: per chi lavora a Milano, ad esempio, prevediamo l’inserimento di uno stagista nel team a supporto della persona che rientra, per chi invece lavora con le vendite sul territorio rivediamo i giri di visita così da ridurre i tempi di viaggio e lo stress. Negli stabilimenti di produzione, poi, accogliamo le richieste di esclusione dal turno notturno fino al compimento del 5° anno nel bambino. Per tutti, infine, abbiamo previsto due settimane di ulteriore flessibilità per l’inserimento del bambino al nido. Siamo sempre concentrati sull’accompagnare i dipendenti nei momenti più critici e salienti della loro vita, così da farli sentire tranquilli anche sul lavoro.

Qual è stato l’impatto della pandemia su queste politiche?
Sullo smart working, come anticipato, eravamo già ampiamente equipaggiati da tempo e quindi già dal “giorno 1” della pandemia siamo riusciti a ripartire immediatamente da remoto. Abbiamo poi adeguato la nostra filosofia di inclusione, condivisione e well-being alla nuova situazione. Tra marzo e dicembre 2020 abbiamo avuto 24 momenti di confronto virtuali che sono stati occasione di dialogo e scambio tra centinaia di persone collegate. Abbiamo organizzato incontri in sottogruppi con la nostra Ad, sempre presente per discutere di specificità di business, altri incontri rivolti invece alle prese di decisione aziendali o ai nuovi protocolli che man mano uscivano. Stesso discorso, come dicevo, per i programmi di benessere, replicati a distanza: corsi di cucina, gestione dello stress, mindfullness e yoga, corsi d’inglese e molto altro, chiedendo sempre anche ai dipendenti di condividere degli scatti di questi momenti. Abbiamo raccolto dei feedback rispetto alle loro esigenze e li abbiamo di conseguenza meglio informati su quanto stesse accadendo nel mercato dei consumi, con delle vere e proprie sessioni tenute da professori universitarie e da alcuni dei nostri vertici, ma anche sul tema dell’eCommerce. Abbiamo fatto una survey estiva per monitorare lo stato generale emotivo e lavorativo, nonché una a settembre sul clima aziendale, con ottimi risultati. Abbiamo anche fatto la prima sales convention annuale online, con tanto di drink inviati a casa per poter brindare alla fine insieme. Comunicare tanto ha fatto sentire tutti più vicini.

Una filosofia complessiva che, come ci anticipava, vi consente anche di essere più attrattivi rispetto al talento…
Sì, esatto. Siamo particolarmente attenti al tema dei giovani, sia sull’attrarli, sia sul farli crescere in azienda. Abbiamo una community di university ambassador che va nelle università per fare presentazioni, business game e coinvolgere gli studenti anche con giornate in azienda. Facciamo sperimentare loro casi di business in modo innovativo, magari attraverso un’escape room. Non solo un’occasione di employer branding e advocacy, con risvolti interessanti anche sui canali social, ma spesso un’occasione di recruiting. Io stessa, tra l’altro, faccio parte del programma di orientamento dei laureati della Bocconi. Con gli stagisti, poi, vantiamo una retention del 70%. Abbiamo eventi e corsi che accompagnano questi gruppi di giovani nei primi anni di lavoro, affiancandoli via via verso nuovi ruoli e competenze. Tengo infatti a sottolineare che, come azienda, crediamo nella costruzione di professionalità il più possibile rotonde. Questo aiuta anche a integrare le diverse generazioni. In proposito, abbiamo anche un gruppo di tecnology ambassador che fanno da punto di riferimento non solo per quanto riguarda i cambiamenti tecnologici, ma anche in quanto supporto pratico per mantenere tutti allineati. Questi diversi scambi fanno leva sull’inclusione, ma soprattutto su un valore altrettanto importante ad essa associato, che è la complementarietà. Da quando c’è stata la riforma della scuola, infine, siamo molto attivi anche rispetto al programma scuola-lavoro, con mini stage rivolti ai figli dei dipendenti e a studenti dei licei di Milano. Ai primi offriamo anche delle borse studio per vacanze studio all’estero per imparare l’inglese.

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