Lavoratori in cerca di felicità e pronti a cambiare azienda per trovarla

Dove si curano gentilezza ed empatia i dipendenti sono più motivati e produttivi: le ricerche di Università Popolare degli Studi di Milano e 4 M.A.N.

Si suol dire di non prendere decisioni importanti dopo eventi d'impatto come un lutto, ma la verità è che spesso certi eventi sono esattamente ciò serve alle persone per rivedere le priorità e prendere "quella decisione" che si procrastinava da tempo, migliorando la propria vita alla luce di nuove consapevolezze. La pandemia da Covid-19 per molti italiani, e non solo, è stata proprio questo: un punto di rottura nella solidità del terreno, che ha fatto tuttavia spazio a nuovi germogli.

Il successivo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, con le relative conseguenze anche per l'Italia, c'è da aspettarsi che non sia da meno in quanto a impatto sulla collettività: si tratta dell'ennesimo evento che ci ricorda la volatilità del contesto attuale e l'importanza di focalizzarsi su ciò che è importante. Una sorta di paura più grande che ridimensiona i timori minori, che per molti si traduce in: coraggio di cambiare lavoro.

Il tema del cambio di lavoro e dei licenziamenti in massa, soprattutto in alcuni settori dove il mercato offre maggiore scelta (es. digitale e tecnologia), è oggi sulla cresta dell'onda, tra detrattori dei nuovi modelli ("bando allo smart working e si torni a lavorare sul serio") e chi invece approfitta per sperimentare all'insegna di una nuova cultura del lavoro, come nel caso della "workation" di Everli o di Mondelez, che ha lanciato anche in Italia la Workplace of the Future (tra i vari punti, la possibilità di distribuire le ore settimanali di lavoro su 4,5 giorni lavorativi).

In questo contesto, volenti o nolenti, i detrattori di certe modalità di welfare e work-life balance si ritrovano ad essere meno competitivi nella capacità di attrarre talenti e trattenerli. Non solo. Il gap, rispetto ai fautori della flessibilità, si rileva anche sul fronte della produttività, come confermano i dati di Università Popolare degli Studi di Milano e 4 M.A.N.

Secondo la ricerca effettuata su un campione di 478 aziende di diverse dimensioni, infatti, la produttività cresce del 68% nelle realtà in cui i rapporti sono basati sull’empatia. Anche fiducia e soddisfazione di chi lavora o collabora con questo tipo di aziende crescono, segnando rispettivamente un +75% e +93%. All'opposto, il 20% dei dipendenti manifesta la volontà di cambiare lavoro a causa della mancanza di relazione interna all'ambiente lavorativo.

Il 32%, poi, ritiene che la gestione umana del proprio superiore incida negativamente sulle proprie performance. L’87% pensa che i sistemi di incentivazione economica, in assenza di riconoscimento formale della relazione, siano nulli e non siano il fattore rilevante per le performance. Il 57% degli intervistati afferma che in presenza di gentilezza ed empatia si è maggiormente motivati e produttivi. Il 95%, infine, ritiene che alla base di una peak performance (i picchi di eccellenza) vi sia il rapporto "comprensivo" con il proprio capo ed i colleghi.

E mentre una parte del mondo aziendale non riesce a scardinare dalla propria cultura quella visione del lavoro che è davvero tale solo se porta almeno un po' di sofferenza, altre aziende si stanno dotando di uno chief happiness officer o manager della felicità, una figura professionale nello staff hr con competenza in coaching che si occupa dello stato di benessere dei dipendenti e del loro livello di soddisfazione. Secondo una ricerca Paychex - Future Workplace, il 67% della generazione Z ritiene questa impostazione e affine tipologia di benefit prioritari nella ricerca di un nuovo impiego: il futuro indicato dai più giovani è questo.

 

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