Employee engagement: un’arena per i manager

L’engagement dei collaboratori accresce il vantaggio competitivo e i manager possono favorirlo con le loro scelte. In primo luogo combattendo il clima di silenzio (da Mark Up n. 288)

Oggi manager d'azienda, consulenti e studiosi concordano sulla rilevanza che i collaboratori hanno per il successo delle imprese. Nello specifico, le persone contribuiscono a costruire il vantaggio competitivo quando sono engaged, cioè quando agiscono in modo strategico e orientato a obiettivi rilevanti per l’organizzazione, sia nello svolgimento del proprio ruolo sia al di là di questo. Per esempio, quando profondono energie per innovare o agiscono come brand ambassador all’esterno. L’employee engagement è influenzato dalle predisposizioni personali dei singoli collaboratori e dalle caratteristiche del macro- contesto in cui opera l’azienda. Il management tuttavia ha grosse armi per favorire l’engagement: gestisce infatti leve fondamentali per rendere il contesto organizzativo favorevole al fiorire dell’engagement o al contrario configurarlo come un ambiente che stimola pericolosamente il disengagement.
Il management può costruire attivamente un contesto lavorativo engaging attraverso tre leve: la gestione delle risorse umane, la giustizia organizzativa e la relazione con i collaboratori.
I collaboratori sono più engaged in contesti organizzativi caratterizzati da relazioni con i collaboratori inclusive, da un approccio alla gestione delle risorse umane teso a valorizzarle e da equità e trasparenza nei processi di gestione delle persone. Nello svolgere la loro azione gestionale, i manager hanno dunque la discrezionalità e la responsabilità di operare scelte determinanti per l’engagement: ad esempio, quando definiscono sistemi di comunicazione interna e impostano pratiche manageriali che favoriscono la partecipazione e la libera espressione dei collaboratori, quando adottano sistemi per la gestione delle risorse umane che ne valorizzino le competenze e si focalizzino sulla loro sicurezza e sulla loro employability, quando sviluppano politiche e processi che garantiscono giustizia organizzativa.
Il Centre for Employee Relations and Communication dell’Università Iulm ha realizzato uno studio biennale sul tema dell’engagement e ha indagato tramite una survey sulle grandi aziende italiane gli approcci manageriali adottati per favorire (o sfavorire) l’engagement.
È emerso che c’è ancora molto da fare: il 42% delle aziende del campione ha relazioni con i collaboratori di tipo gerarchico, giustizia organizzativa non equa e gestione delle risorse umane di tipo amministrativo, creando contesti organizzativi favorevoli al disengagement. In un altro 45% si configurano situazioni miste, con dinamiche imprevedibili sullo stato di effettivo engagement dei collaboratori. Solo nel 13% delle aziende del campione si delineano contesti organizzativi pienamente engaging. Lo studio ha mostrato che in molti casi le pratiche di gestione delle risorse umane e gli strumenti di comunicazione interna ritenuti più rilevanti per l’engagement dai manager non corrispondono a quelli portati in evidenza dai collaboratori coinvolti in una seconda survey. È importante invece che gli sforzi dei manager per aumentare l’employee engagement si concentrino sulle leve ritenute più rilevanti dagli stessi collaboratori.
Ad esempio, i collaboratori hanno sottolineato l’importanza di avere occasioni anche informali di incontro con il top management, mentre i manager responsabili dell’employee engagement hanno ritenuto più rilevanti forme di comunicazione mediata come il blog o le newsletter. Il dialogo emerge invece come la pratica manageriale fondamentale per favorire l’engagement.
I collaboratori cercano opportunità per esprimere la propria “voce”: per condividere con il management idee, suggerimenti e opinioni, incluso il dissenso costruttivo. In effetti, un clima di voce è causa ed effetto dell’engagement dei collaboratori mentre, all’opposto, un clima di silenzio è il suo grande nemico: esso genera per i collaboratori insoddisfazione (media 4,67 su una scala da 1 a 5) e distacco dal proprio lavoro (4,64), termine utilizzato nell’indagine come sinonimo di disengagement.

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