Settore energetico e competitività europea: dove migliorare

Il governo del comparto energetico: lo stato dell’arte, i fattori di criticità e opportunità di miglioramento per i Paesi dell’Unione Europea.

L’economia europea è stata fortemente indebolita dalla crisi energetica scoppiata negli ultimi anni.
Il settore energetico si colloca alla base di tutti i sistemi economici e a monte di tutte le filiere industriali. Ad esso è storicamente legata ogni fase dello sviluppo economico; valga al riguardo il riferimento alle rivoluzioni industriali.
Si tratta quindi di un settore strategico che, in un modello di sviluppo basato sulla competizione e sul potere come quello della globalizzazione, è stato per lo più strumentalizzato nell’ambito di guerre egemoniche.

Per capire l’importanza e la complessità del settore energetico è possibile individuare le sue diverse dimensioni:
• dimensione scientifico-tecnologica, legata ai processi di estrazione, trasformazione e uso di fonti e vettori energetici che sono costantemente oggetto di Rd&d;
• dimensione economica, legata all’utilizzo di risorse spesso scarse e all’impatto che questo sfruttamento produce;
• dimensione sociale, legata al fatto che i servizi energetici sono output di prima necessità;
• dimensione politica interna ed esterna. Da quest’ultimo punto di vista, se un Paese non ha fonti proprie, l’energia costituisce un pilastro della politica estera, la quale cercherà di dare stabilità al sistema industriale attraverso relazioni diplomatiche.

Esiste poi un’altra dimensione, che dà significato e forma alle precedenti: quella ontologica. Dal momento che nel settore energetico l’uomo utilizza le risorse naturali per propri scopi, è evidente che la prima e più importante dimensione del settore energetico è quella che attiene alla relazione uomo-natura. Purtroppo, i processi di sviluppo degli ultimi secoli, basati prevalentemente su crescita e competizione, hanno portato a un progressivo impoverimento di questa dimensione. Lo stesso concetto di sostenibilità non coglie pienamente la dimensione ontologica qui evidenziata: la sostenibilità si innesta su uno squilibrio tra uomo e natura e non mira a superarlo; piuttosto cerca di garantire il più a lungo possibile la disponibilità di risorse all’uomo, senza spingerlo a rivedere la sua visione della natura e del suo sé rispetto alla natura stessa.

Gli aspetti da considerare nel governo del settore energetico sono quindi molti, in un quadro di interdipendenza globale che è oggi in piena trasformazione. Il settore energetico è stato protagonista del processo di globalizzazione, tanto da diventarne l’espressione. Il cambio di paradigma oggi in corso nelle relazioni internazionali, portato dalle crisi degli ultimi anni, non potrà non avere un impatto anche sul settore energetico. L’aumento del numero di Paesi aderenti ai Brics e il consolidamento delle relazioni tra gli stessi evidenzia il passaggio da un ordine unipolare dominato dagli Stati Uniti e dalla loro valuta a un ordine multipolare basato su una pluralità di asset (inclusi quelli energetici).

L’Unione Europea in questo contesto rischia, a causa della sua debolezza, di essere lasciata ai margini del nuovo ordine internazionale.
L’indebolimento è avvenuto gradualmente, a partire da una posizione di eccellenza scientifica, tecnologica e industriale. Valga al riguardo l’esperienza delle rinnovabili, dove l’Unione Europea ha svolto il ruolo di first comer, per poi cedere il passo alla Cina, divenuta leader nel fotovoltaico. L’eolico sta seguendo un trend simile, con l’industria europea che denuncia grandi difficoltà di fronte alla concorrenza cinese.

Si tratta in realtà di un copione ormai noto: a fronte delle grandi capacità espresse dall’Unione Europea nella fase di Rd&d, si evidenzia una grande debolezza nella fase di scaling-up delle tecnologie. Di fatto l’Unione Europea alimenta i processi di innovazione a vantaggio di tutto il mondo, ma non riesce a sfruttarli sul piano industriale. E’ quello che il Libro Verde sull’innovazione del 1995 definiva il paradosso europeo, vale dire l’incapacità di trasformare la propria eccellenza scientifica in vantaggio competitivo durevole e difendibile.
Per gli accademici e i policy-makers nazionali ed europei si tratta di un tema da affrontare con urgenza. Se questa debolezza strutturale resta irrisolta, essa annulla potenzialmente gli sforzi tuttora profusi a sostegno della competitività europea.

Per gli studiosi di economia e gestione delle imprese in particolare si tratta di comprendere dove si collochino le debolezze sia del tessuto industriale europeo sia degli assetti istituzionali su cui lo stesso poggia. Un tema da affrontare senza indugio riguarda per esempio il ruolo dell’attore pubblico e dell’attore privato. Nel settore energetico oggi si confrontano due modelli: quello occidentale, ove, salvo alcune eccezioni, a seguito dei processi di liberalizzazione e privatizzazione, le imprese private hanno assunto un ruolo centrale, e quello orientale, dove l’imprenditore pubblico resta un perno della politica industriale. Si tratta poi di capire come le relazioni competitive e cooperative che già legano gli attori di questo settore lungo le supply chain possano contribuire a raggiungere maggiori livelli di integrazione, necessari per garantire adeguati livelli di servizio ai cittadini e alle imprese.
A fronte degli equilibri che stanno emergendo, il compito è quindi quello di individuare i nuovi pilastri del modello di sviluppo economico europeo che è necessario costruire, secondo una prospettiva olistica che sappia valorizzare il perseguimento dell’interesse generale e la dimensione ontologica del settore energetico e dell’economia.

*Università degli Studi di Genova

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome