Financial influencer: quando anche il mondo dei social non dorme mai

Successo, ricchezza...Il mondo dei financial influencer sembra essere come il mercato dei limoni di Akerlof, ma non è tutto oro quel che luccica

Se negli anni ‘80 la Sec e gli altri organismi di vigilanza si occupavano delle grandi acquisizioni speculative raccontate dai giornalisti investigativi, come per esempio Bryan Burrough e John Helyar nel loro celebre “Barbarians at the gate”, oggi questi stessi organismi si trovano davanti a degli smartphone mentre osservano influencer che danno i consigli più disparati su investimenti e ricchezza.
Dalla nascita dei social media abbiamo oramai capito il potere che questi veicoli hanno nel muovere le masse, influenzare gli acquisti e smuovere le coscienze. Tuttavia, il mondo dei social si era interessato, fino a poco tempo fa, a poche categorie di prodotti che ben si prestavano alle sponsorizzazioni più disparate, dal beauty alla moda, dal food all’home decor, ecc.

In questo variegato panorama si affaccia un nuovo fenomeno. Quello dei financial influencer, anche chiamati “finfluencer”. Il financial influencer è una figura professionale esperta nel campo finanziario, che sfrutta i social network, come Instagram, TikTok e YouTube (piattaforme che complessivamente registrano circa 6 miliardi di utenti attivi), per condividere consigli e strategie relativi alle finanze personali e agli investimenti, rompendo le barriere che spesso rendono le questioni finanziarie ostiche e complesse ai più. Se da un lato la democratizzazione dell’accesso alle informazioni finanziarie può essere considerata positiva, perché consente a un ampio pubblico di apprendere e prendere decisioni; dall’altro lato si rischia di ottenere sempre più individui che vengono condizionati dai finfluencer senza comprendere i rischi e la complessità degli investimenti.

Nel panorama dei finfluencer è cruciale distinguere coloro che offrono informazioni con cognizione di causa e coloro che invece dispensano consigli e strategie d’investimento senza averne alcun titolo. I primi sono spesso esperti nel settore finanziario, con una solida esperienza e una formazione adeguata. Si distinguono per la loro trasparenza sui loro investimenti personali, l’approccio responsabile ai rischi e la loro volontà di condividere il loro sapere. I secondi invece promuovono prodotti finanziari senza la necessaria expertise con il mero obiettivo di averne un guadagno personale.

Facendo un parallelismo con la teoria dei limoni, elaborata dall’economista statunitense George Akerlof nel 1970, che spiega il fenomeno della selezione avversa derivante dall’asimmetria informativa tra acquirenti e venditori, appare facile capire come un pubblico non esperto (quindi con forte asimmetria informativa) possa fare scelte subottimali seguendo consigli di esperti finanziari che di esperto hanno poco o nulla.
Se da una parte molti finfluencer agiscono in buona fede e cercano di condividere informazioni utili e veritiere, grazie al loro background qualificato; dall’altra la mancanza di trasparenza, la promozione d’investimenti rischiosi senza scrupoli e l’ignoranza dei potenziali rischi finanziari possono portare al moltiplicarsi delle frodi online. Molti sono infatti i casi di finti finfluencer che, sfruttando la fiducia instaurata con i propri seguaci e la loro scarsa educazione finanziaria, creando veri e propri schemi di Ponzi e lasciando dietro di sé una scia di danni finanziari ed emotivi a coloro che cadono nelle loro reti.

La relazione che si crea tra financial influencer e schema Ponzi può essere interpretata in vari modi attraverso il comportamento degli investitori, la loro risposta alle informazioni finanziarie e le decisioni di investimento. La prima, evidente, è che gli individui tendono a seguire il comportamento degli altri “follower” senza avere le informazioni o gli strumenti critici e culturali necessari per distinguere la qualità dei contenuti creati dai finfluencer. In questo caso si verifica un fenomeno di herd behavior, in cui gli investitori seguono le raccomandazioni degli influencer, senza fare una ricerca indipendente. Se un influencer promuove consapevolmente o inconsapevolmente uno schema di Ponzi, potrebbe crearsi un effetto domino in cui sempre più persone si uniscono allo schema spinti dall’illusione di ottenere guadagni facili.

La seconda, è propria della spasmodica ricerca da parte degli investitori di rendimenti sempre più elevati. Nei casi di schemi di Ponzi promossi da finfluencer, questi potrebbero promettere rendimenti irrealistici o, ancora peggio, far leva su follower illetterati (dal punto di vista finanziario) mostrando stili di vita di successo, magari in Paesi esotici e con tutti i cliché di chi i soldi li ha fatti (auto di lusso, ville con piscina, orologi costosi, ecc). I follower, attratti dalle promesse di rendimenti facili, saranno inesorabilmente irretiti negli schemi fraudolenti di chi l’asimmetria informativa la sfrutta per averne un tornaconto personale.

Per contrastare questi fenomeni e il moltiplicarsi di schemi Ponzi è fondamentale promuovere l’educazione finanziaria. I follower devono essere consapevoli dei rischi associati agli investimenti e devono sviluppare una comprensione critica delle strategie consigliate dai finfluencer. L’importanza della financial education è fondamentale nell’attuale panorama finanziario, sempre più social e sempre più sfuggevole alla regolamentazione.
Dotare le persone di conoscenze solide su risparmio, investimenti e gestione delle finanze personali non solo promuove la stabilità economica individuale, ma contribuisce anche alla crescita economica complessiva. Appare dunque evidente che anche la politica e l’amministrazione pubblica, attraverso programmi educativi mirati e l’integrazione dell’educazione finanziaria nei programmi scolastici, dovrà fare la sua parte. In sostanza, per far sì che i financial influencer abbiano un impatto positivo all’interno della nostra società è necessario che la società stessa sia adeguatamente informata e possegga gli strumenti necessari per capire chi “seguire” e chi no.

*Augusto Bargoni, Ph.D., Università di Torino, Dipartimento di Management “Valter Cantino”.
*Matteo Pecorella, Università di Torino, Dipartimento di Management “Valter Cantino”.
*Chiara Giachino, Ph.D., Università di Torino, Dipartimento di Management “Valter Cantino”.

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