Lavoro: una proposta per raggiungere l’obiettivo zero incidenti

Un passo concreto in questa direzione? L’inserimento di un progetto dedicato all’interno del Pnrr, nella sezione Politiche attive del lavoro

Dai dati provvisori forniti dall’Inail si apprende che nei primi 10 mesi del 2021 nel nostro Paese hanno perso la vita sul lavoro 1.017 tra lavoratori e lavoratrici. Al momento, sulla base di questi dati, il numero si presenta statisticamente in leggera flessione rispetto all’anno precedente, ma con valori che si collocano tra i 3 e i 4 casi di mortalità giornalieri nella media degli ultimi due anni.
Numero quasi incredibile nella sua dimensione e drammaticità, ancor più se si considera - come precisa Chiara Saraceno su Repubblica del 30 novembre scorso - che è riferito solo ai morti sul lavoro ufficiali, cioè a quelli con contratto regolare e alle sole categorie di lavoratori coperte dall’Inail, per cui il dato reale è sicuramente più elevato.
Numero che, peraltro, si presenta nel tempo stabilmente sui livelli indicati. Numero, infine -e più significativamente - che non è un dato statistico, è soprattutto un ben misero epitaffio sull’esistenza di persone con la loro vita, le loro famiglie, i loro progetti, le loro idee di futuro, i loro sogni.

Il fenomeno ha assunto dimensioni e stabilità tali che sembra appartenere ad una categoria di fatti ingovernabili dai quali in qualche modo si allontana lo sguardo o ai quali si partecipa emotivamente quando per un loro eclatante manifestarsi occupano spazi centrali nella comunicazione giornalistica. Comunicazione che relega invece in piccole notizie di cronaca i tanti casi che non possiedono la forza di richiamare su di sé l’attenzione, quasi appartenessero ad un’assurda categoria della “normalità delle morti sul lavoro”.
Ma i fatti sono fragili e caratterizzati dalla caducità provocata dall’incalzare di altri fatti, per cui accade che anche nei casi in cui l’attenzione generale sia stata portata su questo fenomeno dopo qualche giorno il tutto è come dimenticato, pronto ad essere risvegliato, purtroppo, dalla successiva tragedia sulla quale poi si accende un cono di luce, che a sua volta vedrà affievolire la sua forza fino a spegnersi, più o meno, velocemente.
Tanti sono i proclami e le richieste da parte dei sindacati e dei datori di lavoro, come pure le manifestazioni di buona volontà e di impegno sociale nel raccogliere dati, notizie, racconti sui diversi accadimenti, allo stesso modo delle sollecitazioni indirizzate al governo per interventi al riguardo. Nonostante questo, purtroppo, non si notano percorsi di azione capaci di incidere radicalmente sul fenomeno.

Non vi è dubbio che i rischi sui posti di lavoro siano molteplici e legati alle diverse tipologie di attività, così pure come le cause degli incidenti che si presentano in una varietà di forme, tra le quali stanno l’inosservanza delle norme di sicurezza, la sottovalutazione dei pericoli e gli errori raccolti nelle loro diverse categorie legate vuoi a gap di conoscenza, vuoi allo stato fisico o emozionale delle persone.
Si tratta di cause che non possono richiamare a sé l’azione della casualità, quand’anche si ritenesse che il caso esista. Se è ben vero che eventi avversi non possano escludersi, è altrettanto vero che dietro a questi accadimenti stanno comportamenti umani che come tali possono essere modificati nella direzione desiderata per arrivare, se non a un azzeramento nel breve delle morti sul lavoro, ad una loro sensibile riduzione.

Nel tentativo di fronteggiare questa situazione è stata predisposta una puntuale normativa, recentemente arricchita da provvedimenti del Governo volti a contenere quelle che ormai a tutti gli effetti si possono definire come “stragi sul lavoro”. E altre norme seguiranno richiamate anche dall’attenzione data al tema da Papa Francesco nell’omelia della vigilia di Natale. Tuttavia è lecito chiedersi se bastino l’inasprimento delle sanzioni e delle pene per violazioni in materia di sicurezza sul posto di lavoro e l’aumento dei controlli e della vigilanza per incidere a fondo su questa piaga.
Invero le norme, i controlli e le sanzioni, pur con tutti i limiti di carenze nell’organico di chi deve effettuare le verifiche, fanno parte da tempo del vissuto quotidiano delle imprese e questo non ha contribuito a contenere più di tanto questi eventi.

La sicurezza non scaturisce, infatti, solo da una logica e un apparato di natura ispettiva, per quanto precisa e raffinata possa essere.
La sicurezza non può che essere il risultato di un’azione combinata che muove in varie direzioni: quella di una conoscenza profonda del fenomeno degli incidenti e delle loro cause, quella della prevenzione che non deve ridursi a mera forma ma deve essere vissuta in modo sistematico in azienda, quella del rispetto non sempre scontato delle norme, quella di una visione condivisa delle azioni da intraprendere concordata tra le parti sindacali sia di lavoratori e imprese che le istituzioni.
Anche l’Università potrebbe avere un ruolo centrale in questo percorso. Non solo dal punto di vista del già esistente nelle forme dei corsi di safety management offerti in chiave formativa, quanto nella duplice prospettiva di una ricerca sullo stato dell’arte del fenomeno e di un mutamento culturale del management nella direzione dei valori di un good business, in cui la centralità del lavoro e delle persone sia parte fondante.
Nel fermento innovativo che percorre il nostro Paese nell’ambito della progettualità Pnrr, riservare nella Missione 5, Politiche attive del lavoro, lo spazio ad un progetto che si ponesse seriamente l’obiettivo “zero incidenti sul posto di lavoro”, contribuirebbe alla diffusione di benessere sia individuale che collettivo, evitando le tragedie esistenziali e familiari che nella loro irriducibile singolarità e drammaticità si nascondono dietro ai numeri delle statistiche.

*Claudio Baccarani, Dipartimento di economia aziendale, Università degli Studi di Verona
*Federico Brunetti, Dipartimento di economia aziendale, Università degli Studi di Verona

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